Suppongo sia un portato dell’età – un dono della maturità (senescenza, vorrei dire, salvo che si potrebbe pensare che davvero ho 70 anni e, allora, non quadrerebbe il resto), tra i tanti che se ne ricevono – e, in effetti, credo che la maturità stia nel coglierli come tali, elargizioni che diventano piccole conquiste.
Della bassa intensità non credevo mi sarei trovata a tessere le lodi, e invece.
Quando si è più giovani, non si crede di poter apprezzare il privilegio di certe relazioni, di lavoro o amicizia, che possono stare quiescenti per mesi e poi, all’occorrenza, tornano vive e vitali, e si ha il tempo per stupire a margine della loro freschezza.
Considero il mio amico ecoarchitettodesigner, a cui ho chiesto di disegnarmi un tavolo da cucina (so cute, japanese style) e quello, da lunghissimo tempo non più frequentato, fotografo, che ho sentito in questi giorni – viaggia con la figlia adolescente in Madagascar.
Di più e con più cuore, è la relazione camaleontica con l’amorenuovoimpossibile – destinato a restare nuovosempre, ancora incartato, la scatola aperta e il gesto di afferrarlo che resta come cristallizzato – la torta nella vetrina della pasticceria, il pacco con il fiocco sotto l’albero.
Da manicomio – se non fosse la storia più bella che ho (abbiamo?) mai vissuto.
Un amore in cui ci si ama e basta, attraverso le ore e i giorni, cavalcando distanze, piccole per la geografia e la topografia – vaste come deserti nell’attesa.
Quest’amore ad alta intensità cambia pelle perché tanti sono i vincoli che ne scrivono il perimetro limitato – non solo la camera azzurra (che ha originato l’incontro con un bellissimo Simenon e un film ben fatto, forse un po’ didascalico e, in qualche punto, esplicito dove il romanzo resta, più acutamente, sfumato) ci muoviamo in esterna, con la giusta circospezione.
Ci ho riflettuto un po’ – stare dai miei aiuta moltissimo l’attività teoretica, di qualcosa bisogna pur riempire le sterminate domeniche, specie se la bimbapiùbravadelmondo non vuole uscire – e credo che la chiave sia la frequenza. Bassa.
La bassa frequenza è un’onda che si stende lunghissima, come l’allungamento della schiena a fine workout (tema ricorrente, quotidiano almeno fino all’11 settembre) quando si apprezza anche che dalla fronte il sudore scorra a rivoletti sul naso, e non si ci fa più nessuna domanda, si sta, e il ritmo è quotidiano nella corrispondenza e almeno sento la sua voce, la mattina, il buongiorno dato la seconda volta, e mi commuove già pensare a quante mattine ci sono state sino da ora, un amore di parole intrecciate come fili d’erba, gambi di margherite, lana – intrecciare si fa piano, ci si rallenta, ci si ferma, si sta. E allora s’impara che ci si può anche vedere soltanto ogni sette o otto o dieci giorni – e una volta sono stati 13 o 14, anzi, due volte, ma si è fatto, e il mio amore è più paziente di me, io finisco per estraniarmi, lui mi vede per pranzare e mi parla, e a me pare impossibile stare così vicini e quasi soli, nella discrezione di una caffetteria qualunque, mezza vuota a inizio agosto, e darsi solo tre baci, e un quarto quando già tornavamo verso l’ufficio (il mio), e mi ha portato in una via deserta anche se non buia, soltanto più defilata del corso.
La bassa frequenza richiede che si tenga un’energia sullo sfondo, metabolismo basale e, all’aumentare della vicinanza e al crescere naturale della passione, che cresce, inaspettatamente, risponde contenendo, dà una misura di senso, di sensatezza, spalma l’energia necessaria a sopportare l’assenza. Esercito la mia pazienza e la mia temperanza. Resto – perché non posso immaginare di andarmene e forse anche perché questo amore insegna tante più cose di quelli ordinari che hanno evoluzioni e orizzonti e progetti. Resto, sospesa, come cullata dall’onda di agosto, che dondola alla brezza leggera dei pensieri lievi.
La bassa frequenza – chi l’avrebbe mai detto, di me, eternoaffanno, compulsione, solo battere mai il levare, irrequietezzaparadossalmenteimmota..?